Calcio
Leo Colucci si racconta
Gli esordi con l’Audace, la serie A, l’impresa sfiorata a San Siro, l’amore per la sua città: Leo a tutto campo
Cerignola - giovedì 4 gennaio 2018
18.21
Che il tecnico fosse bravo, molto bravo, lo ha raccontato il campo in questi anni. Ma oggi Leo Colucci (allenatore del Pordenone, in Lega Pro) è molto di più. E' un leader, è un comunicatore di primissimo livello. Disponibile e sempre con il sorriso stampato sulle labbra. E' passato alla ribalta nazionale per aver sfiorato l'impresa contro l'Inter, alla Scala del Calcio, con il suo Pordenone (squadra che occupa attualmente il nono posto in Lega Pro, girone B) negli ottavi di finale, persi soltanto alla lotteria dei calci di rigore.
E' uno tosto Leo. Ha personalità da vendere, d'altronde senza non si arriva fino ai prestigiosi palcoscenici della serie A. "Ai miei tempi tutti i ragazzini, me compreso, avevano il sogno di giocare nella massima serie. Alla fine però per arrivarci non serve solo tecnica ma cuore, determinazione, coraggio, umiltà, altruismo che ottieni solo lavorando forte nel quotidiano. Personalmente, guardandomi alle spalle, penso di aver fatto una 'discreta' carriera". Modestia e umiltà: eccole, tra le altre, le caratteristiche di mister Colucci. Dagli esordi con la maglia della sua città fino alla Lazio, Verona, Bologna, Cagliari, Cremonese e Modena solo per citarne alcune. Alla faccia della carriera discreta. Ma quanti sacrifici ci sono dietro al successo e all'approdo in serie A? "Molti come in qualsiasi altro lavoro. Quelli di non vivere con i propri affetti, di dover lasciare il tuo paese all'età di vent'anni. Certo, i lati positivi sono tanti ma rinunciare al vivere quotidiano con famiglia e amici mi è costato parecchio". L'esordio in A arriva con la maglia biancoceleste della Lazio all'Olimpico (difficile pretendere di più). Il primo gol, il 4 giugno 1995, all'Olimpico contro il Brescia con la maglia numero 10 addosso (praticamente il sogno di tanti bambini). Era il novantesimo, il risultato bloccato sullo 0-0: Colucci si avventa su un cross dalla destra e di testa realizza il gol vittoria: "Non ho una partita specifica a cui tengo maggiormente ma questa, che fu anche la mia prima da titolare, la ricordo con piacere. Coincide anche con il mio primo gol in seria A, quello che mi ha aperto le porte al grande calcio e ha dato il via alla mia carriera. Sempre con un forte lavoro quotidiano basato sui valori, principi e sul pigiare l'acceleratore al massimo".
E' partito da lontano e il coraggio è stata la linea di continuità della sua carriera. Da Colucci giocatore al Leo versione allenatore. Dal calcio giocato alle responsabilità maggiori dalla panchina: "La mia vita è cambiata perché adesso devi dirigere 25 ragazzi, con in più la gestione della società, media e tifosi. Da calciatore ragionavi con la tua testa, ora devi farlo anche con quella degli altri". E il percorso seppur complicato resta affascinante e può portarti a vivere situazioni indimenticabili come quella di San Siro, quando con il Pordenone ha sfidato l'Inter. "L'emozione più grande è stata vedere i nostri tifosi piangere di gioia. E' stata una soddisfazione e un ricordo che porterò sempre con me". Una notte che rimarrà impressa per sempre nella sua memoria. Il video del suo discorso pre partita alla squadra ha fatto il giro dei social: "Non pensavo che la telecamera riprendesse il discorso (gli accordi erano di riprendere soltanto, senza audio). Sono stati bravi nel fare il loro lavoro. Sono discorsi che faccio sempre prima di una partita e in quella situazione ci tenevo a sottolineare ai miei ragazzi che nessuno ci ha regalato nulla e che dovevamo giocarci la partita senza aver il rimpianto di non averci provato". E la squadra ci ha provato (eccome!) mettendo in seria difficoltà i nerazzurri e costringendoli a supplementari prima e ai tiri dagli undici metri poi. "Ho iniziato a credere nell'impresa quando siamo arrivati ai rigori. Sono una lotteria e per la legge dei grandi numeri non sempre vince la squadra più forte. Abbiamo finito la partita senza rimpianti, come se avessimo passato il turno".
Dopo quella notte, parentesi chiusa e via a lottare e sudare la maglia sui campi di Lega Pro: "Personalmente non c'è stata tanta differenza perché sono nato su quei campi. So da dove sono partito e vado fiero e orgoglioso delle 118 presenze fatte nei dilettanti, in particolar modo nella squadra della mia città. Per i ragazzi invece c'è stato lo scotto e abbiamo perso la partita nonostante la buona prestazione". La stretta attualità recita Padova primo e Pordenone nono a meno 13 punti ma con una partita in meno: "Stiamo facendo buone prestazioni e alla lunga sono convinto che potremmo toglierci delle soddisfazioni. Dobbiamo pensare partita dopo partita, con l'obiettivo di fare più punti da qui alla fine del campionato. Magari se non dovessimo arrivare primi, ci giocheremo tutto nei playoff". Il sogno è la promozione in serie B. Quella promozione (ma in Lega Pro) a cui aspira la squadra della sua città: "L'Audace l'ho sempre seguita e mi auguro che possa coronare il sogno Lega Pro. Lo merita la società (per gli investimenti) e la città perché sono anni che aspetta questa promozione. Anche se sono andato via all'età di vent'anni non ho mai staccato il cordone ombellicare che mi lega a Cerignola. Non dimenticherò mai questa gente che mi vuole bene e a cui voglio un bene dell'anima". Gli manca Cerignola, lo si legge negli occhi. Lo si avverte dalle parole al miele: "Certo che mi manca e anche tanto. La famiglia, gli amici, il vivere quotidiano, il mangiare (ride ndr). La professione mi ha portato a fare altro ma appena posso ci torno volentieri".
Buttarsi senza paura nelle scelte e nelle situazioni. Eccola l'altra caratteristica di mister Colucci. Lui che con la forze delle idee, mutate da altri allenatori per poi assumere un'identità autonoma, non dubita di poter raggiungere grandi traguardi: "Ho 'rubato' qualcosa da tutti gli allenatori che ho avuto da quando ho iniziato a giocare. Diciamo però che sono tre quelli che mi hanno dato qualcosa in più: Gimpaolo, Prandelli e Ancelotti". E i giocatori e la squadra che più lo hanno impressionato da avversario? "Come giocatori Zidane, Baggio, Ronaldo (il fenomeno ndr). Loro sono dei fuoriclasse, non sono giocatori ma extraterresti. Come squadra invece la Juve. E' sempre stata la più difficile da battere, per organizzazione e mentalità. Lo dimostrano i sei scudetti di fila vinti. Penso che non si può vincere soltanto con la qualità dei giocatori, ci vuole sempre una grossa organizzazione alle spalle".
Nel suo destino c'è sempre stato il calcio, fin da ragazzino. E' partito da lontano. E' partito dalla maglia gialloblù, da quelle origini che mai dimenticherà: "Sono orgoglioso di essere cerignolano e colgo l'occasione per salutare tutti i miei compaesani. Mi auguro con tutto il cuore che un giorno si possa festeggiare la promozione in Lega Pro. Vedere gioire Cerignola, almeno nel calcio, è sempre un piacere".
E Colucci resterà sempre un orgoglio cerignolano.
E' uno tosto Leo. Ha personalità da vendere, d'altronde senza non si arriva fino ai prestigiosi palcoscenici della serie A. "Ai miei tempi tutti i ragazzini, me compreso, avevano il sogno di giocare nella massima serie. Alla fine però per arrivarci non serve solo tecnica ma cuore, determinazione, coraggio, umiltà, altruismo che ottieni solo lavorando forte nel quotidiano. Personalmente, guardandomi alle spalle, penso di aver fatto una 'discreta' carriera". Modestia e umiltà: eccole, tra le altre, le caratteristiche di mister Colucci. Dagli esordi con la maglia della sua città fino alla Lazio, Verona, Bologna, Cagliari, Cremonese e Modena solo per citarne alcune. Alla faccia della carriera discreta. Ma quanti sacrifici ci sono dietro al successo e all'approdo in serie A? "Molti come in qualsiasi altro lavoro. Quelli di non vivere con i propri affetti, di dover lasciare il tuo paese all'età di vent'anni. Certo, i lati positivi sono tanti ma rinunciare al vivere quotidiano con famiglia e amici mi è costato parecchio". L'esordio in A arriva con la maglia biancoceleste della Lazio all'Olimpico (difficile pretendere di più). Il primo gol, il 4 giugno 1995, all'Olimpico contro il Brescia con la maglia numero 10 addosso (praticamente il sogno di tanti bambini). Era il novantesimo, il risultato bloccato sullo 0-0: Colucci si avventa su un cross dalla destra e di testa realizza il gol vittoria: "Non ho una partita specifica a cui tengo maggiormente ma questa, che fu anche la mia prima da titolare, la ricordo con piacere. Coincide anche con il mio primo gol in seria A, quello che mi ha aperto le porte al grande calcio e ha dato il via alla mia carriera. Sempre con un forte lavoro quotidiano basato sui valori, principi e sul pigiare l'acceleratore al massimo".
E' partito da lontano e il coraggio è stata la linea di continuità della sua carriera. Da Colucci giocatore al Leo versione allenatore. Dal calcio giocato alle responsabilità maggiori dalla panchina: "La mia vita è cambiata perché adesso devi dirigere 25 ragazzi, con in più la gestione della società, media e tifosi. Da calciatore ragionavi con la tua testa, ora devi farlo anche con quella degli altri". E il percorso seppur complicato resta affascinante e può portarti a vivere situazioni indimenticabili come quella di San Siro, quando con il Pordenone ha sfidato l'Inter. "L'emozione più grande è stata vedere i nostri tifosi piangere di gioia. E' stata una soddisfazione e un ricordo che porterò sempre con me". Una notte che rimarrà impressa per sempre nella sua memoria. Il video del suo discorso pre partita alla squadra ha fatto il giro dei social: "Non pensavo che la telecamera riprendesse il discorso (gli accordi erano di riprendere soltanto, senza audio). Sono stati bravi nel fare il loro lavoro. Sono discorsi che faccio sempre prima di una partita e in quella situazione ci tenevo a sottolineare ai miei ragazzi che nessuno ci ha regalato nulla e che dovevamo giocarci la partita senza aver il rimpianto di non averci provato". E la squadra ci ha provato (eccome!) mettendo in seria difficoltà i nerazzurri e costringendoli a supplementari prima e ai tiri dagli undici metri poi. "Ho iniziato a credere nell'impresa quando siamo arrivati ai rigori. Sono una lotteria e per la legge dei grandi numeri non sempre vince la squadra più forte. Abbiamo finito la partita senza rimpianti, come se avessimo passato il turno".
Dopo quella notte, parentesi chiusa e via a lottare e sudare la maglia sui campi di Lega Pro: "Personalmente non c'è stata tanta differenza perché sono nato su quei campi. So da dove sono partito e vado fiero e orgoglioso delle 118 presenze fatte nei dilettanti, in particolar modo nella squadra della mia città. Per i ragazzi invece c'è stato lo scotto e abbiamo perso la partita nonostante la buona prestazione". La stretta attualità recita Padova primo e Pordenone nono a meno 13 punti ma con una partita in meno: "Stiamo facendo buone prestazioni e alla lunga sono convinto che potremmo toglierci delle soddisfazioni. Dobbiamo pensare partita dopo partita, con l'obiettivo di fare più punti da qui alla fine del campionato. Magari se non dovessimo arrivare primi, ci giocheremo tutto nei playoff". Il sogno è la promozione in serie B. Quella promozione (ma in Lega Pro) a cui aspira la squadra della sua città: "L'Audace l'ho sempre seguita e mi auguro che possa coronare il sogno Lega Pro. Lo merita la società (per gli investimenti) e la città perché sono anni che aspetta questa promozione. Anche se sono andato via all'età di vent'anni non ho mai staccato il cordone ombellicare che mi lega a Cerignola. Non dimenticherò mai questa gente che mi vuole bene e a cui voglio un bene dell'anima". Gli manca Cerignola, lo si legge negli occhi. Lo si avverte dalle parole al miele: "Certo che mi manca e anche tanto. La famiglia, gli amici, il vivere quotidiano, il mangiare (ride ndr). La professione mi ha portato a fare altro ma appena posso ci torno volentieri".
Buttarsi senza paura nelle scelte e nelle situazioni. Eccola l'altra caratteristica di mister Colucci. Lui che con la forze delle idee, mutate da altri allenatori per poi assumere un'identità autonoma, non dubita di poter raggiungere grandi traguardi: "Ho 'rubato' qualcosa da tutti gli allenatori che ho avuto da quando ho iniziato a giocare. Diciamo però che sono tre quelli che mi hanno dato qualcosa in più: Gimpaolo, Prandelli e Ancelotti". E i giocatori e la squadra che più lo hanno impressionato da avversario? "Come giocatori Zidane, Baggio, Ronaldo (il fenomeno ndr). Loro sono dei fuoriclasse, non sono giocatori ma extraterresti. Come squadra invece la Juve. E' sempre stata la più difficile da battere, per organizzazione e mentalità. Lo dimostrano i sei scudetti di fila vinti. Penso che non si può vincere soltanto con la qualità dei giocatori, ci vuole sempre una grossa organizzazione alle spalle".
Nel suo destino c'è sempre stato il calcio, fin da ragazzino. E' partito da lontano. E' partito dalla maglia gialloblù, da quelle origini che mai dimenticherà: "Sono orgoglioso di essere cerignolano e colgo l'occasione per salutare tutti i miei compaesani. Mi auguro con tutto il cuore che un giorno si possa festeggiare la promozione in Lega Pro. Vedere gioire Cerignola, almeno nel calcio, è sempre un piacere".
E Colucci resterà sempre un orgoglio cerignolano.