L'ho visto..Al Cinema
Café society, Woody Allen torna negli anni ‘30
Dopo Midnight in Paris, il regista riporta lo spettatore in un’epoca nostalgica
sabato 8 ottobre 2016
15.15
Riflettere sul senso dell'esistenza è una prerogativa di tutta la produzione cinematografica alleniana e a questa ricerca non poteva sfuggire l'ultima fatica del regista di Brooklyn, "Café society", ambientata negli anni '30 fra Hollywood e New York.
Protagonisti principali il convincente Jesse Einsenberg, già volto di Mark Zuckerberg in "The social network" del 2010, e Kristen Stewart, che da tempo tenta di scrollarsi di dosso l'immagine di "Bella" della saga di Twilight. A fare da ago della bilancia nell'intreccio della storia è il versatile Steve Carell, che interpreta Phil Stern, un produttore cinematografico capace di costruirsi nel corso degli anni una posizione importante e stabile nell'ambiente hollywoodiano. E' proprio a lui che si rivolge il nipote Bobby Dorfman (impersonificato da Einsenberg) per tentare la strada del successo nel tempio del cinema, ed è sempre lui a fargli conoscere Vonnie (il personaggio della Stewart), che farà scoprire al giovane tutti i lati di Hollywood: la sua atmosfera chic, la sua vivacità ma anche il suo disincanto e l'ostentazione del lusso. Bobby resterà subito folgorato dalla ragazza, ma questa nasconde un segreto che lo porterà a rivalutare la sua New York, nella quale inizierà a gestire un locale di successo insieme a suo fratello, losco individuo dedito al malaffare.
Si tratta del primo film girato in digitale da Woody Allen, e la pellicola vuole essere un ritratto illusorio di una realtà diversa da quella inizialmente sognata dal protagonista, del suo prendere atto del volgere degli eventi verso una direzione non proprio desiderata e tendente a un conformismo agrodolce, con il sottofondo di musiche jazz (tanto amate dal regista), che conferiscono il colore tipico dell'epoca. Il finale apparentemente aperto sembra non lasciare spazio a un ritorno al passato, ma rappresenta uno sguardo nostalgico verso una storia d'amore lasciata a metà, fra dubbi e rimpianti.
E' evidente il cambio di scena a un certo punto della narrazione: la prima metà del film, ambientata principalmente a Hollywood, è caratterizzata da una luce sognante, volta a evidenziare, da un lato, le grandi aspirazioni del giovane e, dall'altro, gli sfarzi tipici di Beverly Hills; uno scenario che, tuttavia, tende a incupirsi nella seconda metà, ambientata nella Grande Mela, principalmente nel locale chiamato Cafè society (da cui il titolo del film), frequentato dall'alta società di Manhattan. Immancabili i riferimenti agli ebrei, così come la presenza di humour nero tipico delle opere del regista newyorkese, in particolare nelle sequenze nelle quali appare la famiglia (ebrea) di Bobby e in quelle relative alle losche attività di suo fratello Ben. Naturale, infine, il parallelo con un altro film di Allen, Midnight in Paris (del 2011).
Nel film c'è tutto l'ultimo Woody Allen, insomma: al netto della minore dinamicità che ne caratterizza la seconda parte, c'è spazio per una serie di interessanti riflessioni inserite in una commedia dai toni divertenti e amari allo stesso tempo.
Protagonisti principali il convincente Jesse Einsenberg, già volto di Mark Zuckerberg in "The social network" del 2010, e Kristen Stewart, che da tempo tenta di scrollarsi di dosso l'immagine di "Bella" della saga di Twilight. A fare da ago della bilancia nell'intreccio della storia è il versatile Steve Carell, che interpreta Phil Stern, un produttore cinematografico capace di costruirsi nel corso degli anni una posizione importante e stabile nell'ambiente hollywoodiano. E' proprio a lui che si rivolge il nipote Bobby Dorfman (impersonificato da Einsenberg) per tentare la strada del successo nel tempio del cinema, ed è sempre lui a fargli conoscere Vonnie (il personaggio della Stewart), che farà scoprire al giovane tutti i lati di Hollywood: la sua atmosfera chic, la sua vivacità ma anche il suo disincanto e l'ostentazione del lusso. Bobby resterà subito folgorato dalla ragazza, ma questa nasconde un segreto che lo porterà a rivalutare la sua New York, nella quale inizierà a gestire un locale di successo insieme a suo fratello, losco individuo dedito al malaffare.
Si tratta del primo film girato in digitale da Woody Allen, e la pellicola vuole essere un ritratto illusorio di una realtà diversa da quella inizialmente sognata dal protagonista, del suo prendere atto del volgere degli eventi verso una direzione non proprio desiderata e tendente a un conformismo agrodolce, con il sottofondo di musiche jazz (tanto amate dal regista), che conferiscono il colore tipico dell'epoca. Il finale apparentemente aperto sembra non lasciare spazio a un ritorno al passato, ma rappresenta uno sguardo nostalgico verso una storia d'amore lasciata a metà, fra dubbi e rimpianti.
E' evidente il cambio di scena a un certo punto della narrazione: la prima metà del film, ambientata principalmente a Hollywood, è caratterizzata da una luce sognante, volta a evidenziare, da un lato, le grandi aspirazioni del giovane e, dall'altro, gli sfarzi tipici di Beverly Hills; uno scenario che, tuttavia, tende a incupirsi nella seconda metà, ambientata nella Grande Mela, principalmente nel locale chiamato Cafè society (da cui il titolo del film), frequentato dall'alta società di Manhattan. Immancabili i riferimenti agli ebrei, così come la presenza di humour nero tipico delle opere del regista newyorkese, in particolare nelle sequenze nelle quali appare la famiglia (ebrea) di Bobby e in quelle relative alle losche attività di suo fratello Ben. Naturale, infine, il parallelo con un altro film di Allen, Midnight in Paris (del 2011).
Nel film c'è tutto l'ultimo Woody Allen, insomma: al netto della minore dinamicità che ne caratterizza la seconda parte, c'è spazio per una serie di interessanti riflessioni inserite in una commedia dai toni divertenti e amari allo stesso tempo.