#Coriandoli, curiosità, aneddoti e mirabilia
D'Annunzio e la beffa al "Tenace colono"
Nel 1910 i "debiti striduli" che attanagliavano Gabriele d'Annunzio ammontavano all'ingente somma di mezzo milione di lire, ma trova ben presto il "merlo" che gli risolve i problemi.
sabato 4 novembre 2017
Nel 1910 i "debiti striduli" (così li chiamava) che attanagliavano Gabriele d'Annunzio ammontavano all'ingente somma di mezzo milione di lire, ma trova ben presto il "merlo" che gli risolve i problemi.
Trattasi di Giovanni Del Guzzo, un Abruzzese, ingenuo e fanatico ammiratore del Poeta, al quale propone, entusiasticamente, un giro di conferenze in occasione dell'Esposizione Mondiale di Buenos Aires e della celebrazione della liberazione dell'Argentina,
In cambio il candido emigrante gli avrebbe liquidato gran parte delle insolvenze con i creditori. Figuriamoci la ribalda allegrezza di d'Annunzio di fronte a questo inaspettato dono del cielo!
E infatti accoglie l'ingenuo conterraneo con l'appellativo di "Messia invocato", stila con lui un accordo, solennemente definito "patto d'alleanza", gli spilla un lauto anticipo, gli consegna un gruppo di 17 manoscritti di sue opere e lo rispedisce in Argentina, non senza averlo ulteriormente alleggerito di 10.000 lire al momento della partenza sul molo del porto di Napoli.
Il "tenace colono", come amava chiamarlo l'Imaginfico, aveva intanto provveduto a pagare gran parte dei debiti di quest'ultimo, fiducioso nella promessa, fattagli da d'Annunzio stesso, circa un suo imminente, anzi prossimo viaggio in terra argentina.
"Caro Giovanni - gli disse abbracciandolo sulla scaletta del piroscafo - salpa pure fiducioso per Buenos Aires. Io ti seguirò a breve. Per il momento devo recarmi a Parigi per curarmi i denti. Sarà un soggiorno brevissimo: 5 giorni."
Vi rimase 5 anni.
E il povero Del Guzzo? Il "tenace colono" ci rimise la faccia e i soldi, tempestò di lettere e telegrammi d'Annunzio (che si guardò bene dal rispondere) e dopo aver pubblicato per vendetta la "Catilinaria Delguzzina", una sorta di filippica piena zeppa di "cretinaggini" secondo Tom Antongini, segretario del Poeta, si consolò col tempo vendendo gli autografi dannunziani e ricavandone una congrua somma.
Il Vate, così come aveva ignorato le missive e le pressanti richieste, si disinteressò completamente al velenosetto pamphlet, impegnato com'era a Parigi a comporre capolavori come Le Martyre de Saint Sébastien e, soprattutto, a godersi la Vita con nuove e disinibite amanti, fedele al motto "Nulla dies sine ictu", ovvero nemmeno un giorno senza "assalto".
A cosa lo lasciamo all'immaginazione del lettore...
Trattasi di Giovanni Del Guzzo, un Abruzzese, ingenuo e fanatico ammiratore del Poeta, al quale propone, entusiasticamente, un giro di conferenze in occasione dell'Esposizione Mondiale di Buenos Aires e della celebrazione della liberazione dell'Argentina,
In cambio il candido emigrante gli avrebbe liquidato gran parte delle insolvenze con i creditori. Figuriamoci la ribalda allegrezza di d'Annunzio di fronte a questo inaspettato dono del cielo!
E infatti accoglie l'ingenuo conterraneo con l'appellativo di "Messia invocato", stila con lui un accordo, solennemente definito "patto d'alleanza", gli spilla un lauto anticipo, gli consegna un gruppo di 17 manoscritti di sue opere e lo rispedisce in Argentina, non senza averlo ulteriormente alleggerito di 10.000 lire al momento della partenza sul molo del porto di Napoli.
Il "tenace colono", come amava chiamarlo l'Imaginfico, aveva intanto provveduto a pagare gran parte dei debiti di quest'ultimo, fiducioso nella promessa, fattagli da d'Annunzio stesso, circa un suo imminente, anzi prossimo viaggio in terra argentina.
"Caro Giovanni - gli disse abbracciandolo sulla scaletta del piroscafo - salpa pure fiducioso per Buenos Aires. Io ti seguirò a breve. Per il momento devo recarmi a Parigi per curarmi i denti. Sarà un soggiorno brevissimo: 5 giorni."
Vi rimase 5 anni.
E il povero Del Guzzo? Il "tenace colono" ci rimise la faccia e i soldi, tempestò di lettere e telegrammi d'Annunzio (che si guardò bene dal rispondere) e dopo aver pubblicato per vendetta la "Catilinaria Delguzzina", una sorta di filippica piena zeppa di "cretinaggini" secondo Tom Antongini, segretario del Poeta, si consolò col tempo vendendo gli autografi dannunziani e ricavandone una congrua somma.
Il Vate, così come aveva ignorato le missive e le pressanti richieste, si disinteressò completamente al velenosetto pamphlet, impegnato com'era a Parigi a comporre capolavori come Le Martyre de Saint Sébastien e, soprattutto, a godersi la Vita con nuove e disinibite amanti, fedele al motto "Nulla dies sine ictu", ovvero nemmeno un giorno senza "assalto".
A cosa lo lasciamo all'immaginazione del lettore...