Intervista in Eslusiva al Parroco di Sant' Antonio
Oggi ore 20 ci sarà l'incontro tra sua eccellenza mons. Luigi Renna e l'imam
Cerignola - sabato 11 giugno 2016
13.23
1) Sabato ci sarà questo importante incontro con l'imam e sua eccellenza mons . Luigi Renna. Secondo lei è utile avere un confronto tra le religioni ?
Un'affermazione del teologo e storico domenicano arabo Georges Anawati - indiscussa autorità scientifica e morale sul tema dei rapporti fra Cristianesimo e Islam - può aiutare a porre nel modo giusto la questione dell'impatto che l'attuale incontro fra Occidente e Islam, connesso anche alla recente forte immigrazione islamica in Europa, potrà avere per l'immediato futuro: "Non si deve dimenticare la forte spinta verso il bene che l'Islam rappresenta per la grande maggioranza dei suoi seguaci … Milioni di musulmani nell'umile sottomissione alla volontà divina, nella fedele osservanza delle prescrizioni della legge, nel quotidiano esercizio della virtù della pazienza, del mutuo soccorso, dell'accettazione della sofferenza, trovano una forza morale che permette loro di realizzare qui sulla terra la loro vocazione di uomini religiosi. Ed è questo che ha fatto la grandezza dell'Islam e che oggi gli permette di essere una delle grandi forze morali dell'umanità" (Islam e Cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 1994, 15). Ciò da cui occorre partire per il configurarsi di un atteggiamento corretto verso l'Islam da parte delle civiltà segnate in maniera determinante dal Cristianesimo è dunque anzitutto una valutazione obiettiva del bene che a livello soprattutto popolare la fede nel Dio unico insegnata da Maometto riesce ad operare e della vicinanza che questo stabilisce fra i credenti nell'unico Dio.
Come ha osservato Benedetto XVI in Turchia il 28 novembre 2006, "cristiani e musulmani appartengono alla famiglia di quanti credono nell'unico Dio e, secondo le rispettive tradizioni, fanno riferimento ad Abramo (cf. Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate, 1,3). Questa unità umana e spirituale nelle nostre origini e nei nostri destini ci sospinge a cercare un comune itinerario, mentre facciamo la nostra parte in quella ricerca di valori fondamentali che è così caratteristica delle persone del nostro tempo… Siamo chiamati ad operare insieme, così da aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a Dio Onnipotente il posto che Gli spetta. Il modo migliore per andare avanti è quello di un dialogo autentico fra cristiani e musulmani, basato sulla verità ed ispirato dal sincero desiderio di conoscerci meglio l'un l'altro, rispettando le differenze e riconoscendo quanto abbiamo in comune. Ciò contemporaneamente porterà ad un autentico rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono ai valori fondamentali e alle personali convinzioni religiose"
2) Secondo lei il ruolo del prete oggi non è cambiato rispetto a qualche tempo fa?
La figura del prete dimostra una capacità di tenuta davvero notevole e in parte inaspettata: nella nostra società, pur dipinta come secolarizzata e affrancata dall'influsso della sfera del religioso, il prete continua a mantenere, in quanto rappresentante dell'universo del religioso, un posto di rilievo; la figura del prete si rivela come una figura essenziale ai fini della costituzione e della presenza dentro il tessuto sociale delle trame di quella solidarietà quotidiana e fondamentale che serve a costituire il tessuto connettivo del nostro vivere sociale e della nostra cultura. Non solo, e più profondamente ancora, ad un livello ecclesiale e di esperienza cristiana la figura presbiterale continua ad essere vissuta e riconosciuta come una figura di tutto rispetto, una figura capace di consentire, di porre in essere una esperienza di fede vera, genuina e ricca di contenuti. La figura del parroco si conferma come la figura più equilibrata, meno portata al pessimismo e più aperta nel leggere i cambiamenti.
Tuttavia mostrano anche in questo campo i segni di una trasformazione in atto verso una percezione meno istituzionale e più carismatica del ruolo del prete oggi. È possibile infatti registrare l'esistenza di una sorta di duplice tipologia, di una duplice figura del prete "soddisfatto" della propria identità ministeriale: un primo gruppo di preti che si sente soddisfatto dalle azioni classiche e istituzionali, che vedono come destinatario il popolo nel suo insieme e come strumenti le azioni classiche della cura animarum; un secondo gruppo di preti che invece vede come destinatario gruppi particolari e come strumento le azioni volte a creare relazioni, comunione, partecipazione, inserzione dentro la rete sociale più ampia.
I preti dimostrano una buone dose di autostima: nove su dieci sono convinti che il loro ruolo sia ritenuto utile dalla gente e la loro figura sia anche un buono strumento di richiamo e di comunicazione del volto di Dio agli altri. Nonostante le difficoltà, i preti mostrano dunque un morale alto. Sono talmente convinti della loro identità ministeriale, da vederla diffìcilmente comparabile con altre professioni o ruoli sociali: può al massimo avvicinarsi alla professione dell'insegnante e al suo compito educativo, ma solo una minoranza sceglie questa similitudine. Per i più il prete non è comparabile con alcun altro lavoro o professione. I preti sono però pessimisti quando si tratta di dare una stima sul rispetto che la gente ha nei confronti della loro figura: quasi la metà è convinta che questo rispetto sia diminuito negli ultimi decenni, e non di poco. I preti si dicono soddisfatti (perfino anche un po' orgogliosi) della scelta vocazionale fatta, anche se hanno conosciuto momenti di crisi (38%). Sono convinti che la vocazione li abbia fatti maturare (80%); non vivono in modo tragico la loro scelta, non vi vedono rinunce o obblighi insostenibili, la vedono impegnativa e difficile come altre scelte di vita.
preti stanno cambiando; i preti vedono la loro identità presbiterale in forte evoluzione. Quali possono essere i punti di riferimento, gli elementi che non potranno mancare in una figura presbiterale, qualsiasi sia il modello che ha deciso più o meno consapevolmente di assumere? Sperando che siano questi elementi a plasmare il modello di prete, la sua identità presbiterale, provo una sintesi desunta dalla riflessione in atto: il prete del domani (ma già di oggi) dovrà saper esibire un rapporto maturo e diretto con le fonti della sua fede personale e del suo ministero (la Tradizione, la Parola di Dio, l'Eucaristia); dovrà lavorare per raggiungere una maturità personale umana e spirituale solida, capace non solo di resistere alle fatiche del contesto culturale ed ecclesiale, ma anche di non lasciarsi influenzare da esse nella costruzione dei giudizi sulla situazione che è chiamato a dare; proprio per questo motivo dovrà dotarsi di sempre più raffinati strumenti interpretativi del reale, tecnici ma anche ispirati dalla fede che vive, e allo stesso tempo dovrà lavorare per raggiungere una disciplina di vita sua personale (ritmi e condizioni di preghiera, di lavoro, di riposo) equilibrata e in grado di sostenerlo nel clima carico di tensioni in cui è chiamato a svolgere il proprio ministero; dovrà ripensare il proprio rapporto costitutivo con quello che è il "popolo di Dio" e che nel reale può assumere diverse figure sociali, luogo di esercizio della sua fede personale oltre che del suo ministero; dovrà sviluppare un'idea di Chiesa che esalti la dimensione partecipativa e comunitaria, sia a livello locale (nel luogo in cui esercita il suo ministero), sia a livello più universale (valorizzando la comune appartenenza al presbiterio, ovvero la strutturazione di rapporti orizzontali e partecipativi e non solo verticali e direttivi dentro l'istituzione ecclesiale).
3) Le differenze tra Islam e cristianesimo quali sono secondo il suo punto di vista?
La parola "differenza" appartiene alla nostra cultura occidentale che cerca di teorizzare sempre per contraddizione e mai per sintesi. La storia delle religioni mostra, senza eccezioni per quanto ne sappia, che in nome della religione sono stati raggiunti non solo i più sublimi conseguimenti dello spirito umano, ma anche le più oscure deviazioni della dignità umana. Il dialogo delle religioni offre un medicamento e rappresenta una purificazione, in quanto non cerca di abolire le religioni, o non intende ridurre tutte le religioni al minimo comune denominatore o affermare una qualche generalizzata e superficiale religiosità. Il dialogo spalanca la strada della conversazione – esattamente per il fatto che le religioni sono differenti, e spesso sembrano essere opposte e incompatibili. Appiana i sentieri, e può anche costruire ponti sopra i fossati che separano i vari castelli religiosi. Invita nuova gente nella vita comune della famiglia umana, senza sradicarla dal suolo nativo elle proprie tradizioni. Intesse una rete di connessioni che mette in relazione e trasforma il mondo delle religioni. E questo carattere aperto del dialogo appartiene alla dinamica stessa dello spirito religioso.
Per questo mi piace parlare di dialogo intra-religioso tra il Cristianesimo e l'Islam che richiede per entrambi una specie di conversione interiore e non può essere un mezzo per acquisire l'altro ai nostri punti di vista. Lotto per la verità e posso anche credere di aver trovato la verità nella mia religione. Ma non sono il solo cercatore della verità. Se fossi umile nella mia ricerca, non solo proverò rispetto per la ricerca degli altri ma persino mi unirò a loro perché gli altri non sono solo cercatori di verità ma fonti di conoscenza.
Questo approccio non deve però nascondere le differenze che esistono fra Cristianesimo e Islam, né tanto meno le difficoltà che il vivere in un contesto islamico può comportare per i cristiani o per i musulmani il vivere in un contesto culturale segnato dal Cristianesimo.
Inoltre, fra i novantanove nomi di Dio professati dall'Islam manca l'esplicita menzione del nome "amore", anche se esso potrebbe essere implicito nell'uso degli aggettivi "clemente" e "misericordioso": questo nome apparirà però nei posteriori testi mistici islamici (ad esempio del Sufismo), e quando ciò accadrà porterà con sé - come dice lo stesso Anawati - l'inconfondibile "risonanza cristiana". Questo spiega l'indiscutibile differenza per la quale il Dio unico - adorato dalle due religioni - è da una parte il totalmente altro e sovrano, anche se misericordioso e fedele, dell'Islam, dall'altra il Dio in se stesso comunione e amore, eterno Amante, eterno Amato, eterno Amore, della confessione di fede cristiana. Accomunati nella colpa dei loro seguaci, i due Credo mantengono tuttavia la differenza accennata, tutt'altro che irrilevante: la "guerra santa" in nome di Allah sarà sempre una possibilità - perfino esemplare - per il musulmano; la violenza esercitata in nome del Vangelo resterà scandalo e contraddizione rispetto ad esso, tradimento che, per quanto più volte perpetrato nella storia, sarà non di meno bollato dalla coscienza cristiana più avveduta.
4) Al giorno d'oggi è utile cercare un confronto e un dialogo con islamici dati i recenti avvenimenti di cronaca che sono successo a Parigi?
Credo sia necessario porre subito con chiarezza la distinzione tra Islam e queste forme di estremismo radicale che rappresentano delle espressioni violente e oscurantiste di un'ideologia di morte che assolutamente non possono venir associate all'Islam, religione di Pace e di Misericordia. Queste forme di inquietante estremismo di natura ideologico- politica, che in Europa trova sempre più proseliti, vanno analizzate alla luce dei gravi problemi che vive il Medio oriente e del ruolo dell'Occidente in questa sorta di "guerra mondiale", insieme con certe forme di disagio sociale vissute nelle periferie delle grandi città europee. Necessaria è quindi un'analisi di tipo politico e sociologico ad ampio respiro piuttosto che una semplice e parziale indagine esclusivamente all'interno del mondo islamico. So che c'è stata una condanna unitaria con la quale i rappresentanti dell'Islam hanno espresso la loro vicinanza al popolo francese. Non dimentichiamo che vittime di questi atti barbarici sono stati anche dei musulmani innocenti.
5) Lei è un parroco molto attivo nella chiesa di San Antonio. Ci descrive le prossime sue future iniziative?
Ringrazio per l'elogio datomi, forse un po' esagerato, ma essenzialmente sono una persona normalissima che vive e ricerca la propria esistenza, così come la vivono tanti miei confratelli sacerdoti che lavorano per il Regno di Dio, cercando di conoscermi e di capirmi, osservandomi attentamente per capire cosa sta evolvendo in me, cosa è cambiato, cosa è maturato, cosa ho compreso, e cosa posso offrire alla mia gente in un cammino di crescita comune … Penso che ognuno dovrebbe ricercare delle esperienze che non siano solo rumori ma che siano fonte di un azione costante di crescita, e proporle agli altri. La festa di quest'anno chiude un anno pastorale impegnativo, ma insieme stiamo maturando altre iniziative, non solo a sfondo culturale e spirituale, ma anche caritativo, e che vedranno la parrocchia tesa in un processo di confronto e di crescita.
Un'affermazione del teologo e storico domenicano arabo Georges Anawati - indiscussa autorità scientifica e morale sul tema dei rapporti fra Cristianesimo e Islam - può aiutare a porre nel modo giusto la questione dell'impatto che l'attuale incontro fra Occidente e Islam, connesso anche alla recente forte immigrazione islamica in Europa, potrà avere per l'immediato futuro: "Non si deve dimenticare la forte spinta verso il bene che l'Islam rappresenta per la grande maggioranza dei suoi seguaci … Milioni di musulmani nell'umile sottomissione alla volontà divina, nella fedele osservanza delle prescrizioni della legge, nel quotidiano esercizio della virtù della pazienza, del mutuo soccorso, dell'accettazione della sofferenza, trovano una forza morale che permette loro di realizzare qui sulla terra la loro vocazione di uomini religiosi. Ed è questo che ha fatto la grandezza dell'Islam e che oggi gli permette di essere una delle grandi forze morali dell'umanità" (Islam e Cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 1994, 15). Ciò da cui occorre partire per il configurarsi di un atteggiamento corretto verso l'Islam da parte delle civiltà segnate in maniera determinante dal Cristianesimo è dunque anzitutto una valutazione obiettiva del bene che a livello soprattutto popolare la fede nel Dio unico insegnata da Maometto riesce ad operare e della vicinanza che questo stabilisce fra i credenti nell'unico Dio.
Come ha osservato Benedetto XVI in Turchia il 28 novembre 2006, "cristiani e musulmani appartengono alla famiglia di quanti credono nell'unico Dio e, secondo le rispettive tradizioni, fanno riferimento ad Abramo (cf. Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate, 1,3). Questa unità umana e spirituale nelle nostre origini e nei nostri destini ci sospinge a cercare un comune itinerario, mentre facciamo la nostra parte in quella ricerca di valori fondamentali che è così caratteristica delle persone del nostro tempo… Siamo chiamati ad operare insieme, così da aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a Dio Onnipotente il posto che Gli spetta. Il modo migliore per andare avanti è quello di un dialogo autentico fra cristiani e musulmani, basato sulla verità ed ispirato dal sincero desiderio di conoscerci meglio l'un l'altro, rispettando le differenze e riconoscendo quanto abbiamo in comune. Ciò contemporaneamente porterà ad un autentico rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono ai valori fondamentali e alle personali convinzioni religiose"
2) Secondo lei il ruolo del prete oggi non è cambiato rispetto a qualche tempo fa?
La figura del prete dimostra una capacità di tenuta davvero notevole e in parte inaspettata: nella nostra società, pur dipinta come secolarizzata e affrancata dall'influsso della sfera del religioso, il prete continua a mantenere, in quanto rappresentante dell'universo del religioso, un posto di rilievo; la figura del prete si rivela come una figura essenziale ai fini della costituzione e della presenza dentro il tessuto sociale delle trame di quella solidarietà quotidiana e fondamentale che serve a costituire il tessuto connettivo del nostro vivere sociale e della nostra cultura. Non solo, e più profondamente ancora, ad un livello ecclesiale e di esperienza cristiana la figura presbiterale continua ad essere vissuta e riconosciuta come una figura di tutto rispetto, una figura capace di consentire, di porre in essere una esperienza di fede vera, genuina e ricca di contenuti. La figura del parroco si conferma come la figura più equilibrata, meno portata al pessimismo e più aperta nel leggere i cambiamenti.
Tuttavia mostrano anche in questo campo i segni di una trasformazione in atto verso una percezione meno istituzionale e più carismatica del ruolo del prete oggi. È possibile infatti registrare l'esistenza di una sorta di duplice tipologia, di una duplice figura del prete "soddisfatto" della propria identità ministeriale: un primo gruppo di preti che si sente soddisfatto dalle azioni classiche e istituzionali, che vedono come destinatario il popolo nel suo insieme e come strumenti le azioni classiche della cura animarum; un secondo gruppo di preti che invece vede come destinatario gruppi particolari e come strumento le azioni volte a creare relazioni, comunione, partecipazione, inserzione dentro la rete sociale più ampia.
I preti dimostrano una buone dose di autostima: nove su dieci sono convinti che il loro ruolo sia ritenuto utile dalla gente e la loro figura sia anche un buono strumento di richiamo e di comunicazione del volto di Dio agli altri. Nonostante le difficoltà, i preti mostrano dunque un morale alto. Sono talmente convinti della loro identità ministeriale, da vederla diffìcilmente comparabile con altre professioni o ruoli sociali: può al massimo avvicinarsi alla professione dell'insegnante e al suo compito educativo, ma solo una minoranza sceglie questa similitudine. Per i più il prete non è comparabile con alcun altro lavoro o professione. I preti sono però pessimisti quando si tratta di dare una stima sul rispetto che la gente ha nei confronti della loro figura: quasi la metà è convinta che questo rispetto sia diminuito negli ultimi decenni, e non di poco. I preti si dicono soddisfatti (perfino anche un po' orgogliosi) della scelta vocazionale fatta, anche se hanno conosciuto momenti di crisi (38%). Sono convinti che la vocazione li abbia fatti maturare (80%); non vivono in modo tragico la loro scelta, non vi vedono rinunce o obblighi insostenibili, la vedono impegnativa e difficile come altre scelte di vita.
preti stanno cambiando; i preti vedono la loro identità presbiterale in forte evoluzione. Quali possono essere i punti di riferimento, gli elementi che non potranno mancare in una figura presbiterale, qualsiasi sia il modello che ha deciso più o meno consapevolmente di assumere? Sperando che siano questi elementi a plasmare il modello di prete, la sua identità presbiterale, provo una sintesi desunta dalla riflessione in atto: il prete del domani (ma già di oggi) dovrà saper esibire un rapporto maturo e diretto con le fonti della sua fede personale e del suo ministero (la Tradizione, la Parola di Dio, l'Eucaristia); dovrà lavorare per raggiungere una maturità personale umana e spirituale solida, capace non solo di resistere alle fatiche del contesto culturale ed ecclesiale, ma anche di non lasciarsi influenzare da esse nella costruzione dei giudizi sulla situazione che è chiamato a dare; proprio per questo motivo dovrà dotarsi di sempre più raffinati strumenti interpretativi del reale, tecnici ma anche ispirati dalla fede che vive, e allo stesso tempo dovrà lavorare per raggiungere una disciplina di vita sua personale (ritmi e condizioni di preghiera, di lavoro, di riposo) equilibrata e in grado di sostenerlo nel clima carico di tensioni in cui è chiamato a svolgere il proprio ministero; dovrà ripensare il proprio rapporto costitutivo con quello che è il "popolo di Dio" e che nel reale può assumere diverse figure sociali, luogo di esercizio della sua fede personale oltre che del suo ministero; dovrà sviluppare un'idea di Chiesa che esalti la dimensione partecipativa e comunitaria, sia a livello locale (nel luogo in cui esercita il suo ministero), sia a livello più universale (valorizzando la comune appartenenza al presbiterio, ovvero la strutturazione di rapporti orizzontali e partecipativi e non solo verticali e direttivi dentro l'istituzione ecclesiale).
3) Le differenze tra Islam e cristianesimo quali sono secondo il suo punto di vista?
La parola "differenza" appartiene alla nostra cultura occidentale che cerca di teorizzare sempre per contraddizione e mai per sintesi. La storia delle religioni mostra, senza eccezioni per quanto ne sappia, che in nome della religione sono stati raggiunti non solo i più sublimi conseguimenti dello spirito umano, ma anche le più oscure deviazioni della dignità umana. Il dialogo delle religioni offre un medicamento e rappresenta una purificazione, in quanto non cerca di abolire le religioni, o non intende ridurre tutte le religioni al minimo comune denominatore o affermare una qualche generalizzata e superficiale religiosità. Il dialogo spalanca la strada della conversazione – esattamente per il fatto che le religioni sono differenti, e spesso sembrano essere opposte e incompatibili. Appiana i sentieri, e può anche costruire ponti sopra i fossati che separano i vari castelli religiosi. Invita nuova gente nella vita comune della famiglia umana, senza sradicarla dal suolo nativo elle proprie tradizioni. Intesse una rete di connessioni che mette in relazione e trasforma il mondo delle religioni. E questo carattere aperto del dialogo appartiene alla dinamica stessa dello spirito religioso.
Per questo mi piace parlare di dialogo intra-religioso tra il Cristianesimo e l'Islam che richiede per entrambi una specie di conversione interiore e non può essere un mezzo per acquisire l'altro ai nostri punti di vista. Lotto per la verità e posso anche credere di aver trovato la verità nella mia religione. Ma non sono il solo cercatore della verità. Se fossi umile nella mia ricerca, non solo proverò rispetto per la ricerca degli altri ma persino mi unirò a loro perché gli altri non sono solo cercatori di verità ma fonti di conoscenza.
Questo approccio non deve però nascondere le differenze che esistono fra Cristianesimo e Islam, né tanto meno le difficoltà che il vivere in un contesto islamico può comportare per i cristiani o per i musulmani il vivere in un contesto culturale segnato dal Cristianesimo.
Inoltre, fra i novantanove nomi di Dio professati dall'Islam manca l'esplicita menzione del nome "amore", anche se esso potrebbe essere implicito nell'uso degli aggettivi "clemente" e "misericordioso": questo nome apparirà però nei posteriori testi mistici islamici (ad esempio del Sufismo), e quando ciò accadrà porterà con sé - come dice lo stesso Anawati - l'inconfondibile "risonanza cristiana". Questo spiega l'indiscutibile differenza per la quale il Dio unico - adorato dalle due religioni - è da una parte il totalmente altro e sovrano, anche se misericordioso e fedele, dell'Islam, dall'altra il Dio in se stesso comunione e amore, eterno Amante, eterno Amato, eterno Amore, della confessione di fede cristiana. Accomunati nella colpa dei loro seguaci, i due Credo mantengono tuttavia la differenza accennata, tutt'altro che irrilevante: la "guerra santa" in nome di Allah sarà sempre una possibilità - perfino esemplare - per il musulmano; la violenza esercitata in nome del Vangelo resterà scandalo e contraddizione rispetto ad esso, tradimento che, per quanto più volte perpetrato nella storia, sarà non di meno bollato dalla coscienza cristiana più avveduta.
4) Al giorno d'oggi è utile cercare un confronto e un dialogo con islamici dati i recenti avvenimenti di cronaca che sono successo a Parigi?
Credo sia necessario porre subito con chiarezza la distinzione tra Islam e queste forme di estremismo radicale che rappresentano delle espressioni violente e oscurantiste di un'ideologia di morte che assolutamente non possono venir associate all'Islam, religione di Pace e di Misericordia. Queste forme di inquietante estremismo di natura ideologico- politica, che in Europa trova sempre più proseliti, vanno analizzate alla luce dei gravi problemi che vive il Medio oriente e del ruolo dell'Occidente in questa sorta di "guerra mondiale", insieme con certe forme di disagio sociale vissute nelle periferie delle grandi città europee. Necessaria è quindi un'analisi di tipo politico e sociologico ad ampio respiro piuttosto che una semplice e parziale indagine esclusivamente all'interno del mondo islamico. So che c'è stata una condanna unitaria con la quale i rappresentanti dell'Islam hanno espresso la loro vicinanza al popolo francese. Non dimentichiamo che vittime di questi atti barbarici sono stati anche dei musulmani innocenti.
5) Lei è un parroco molto attivo nella chiesa di San Antonio. Ci descrive le prossime sue future iniziative?
Ringrazio per l'elogio datomi, forse un po' esagerato, ma essenzialmente sono una persona normalissima che vive e ricerca la propria esistenza, così come la vivono tanti miei confratelli sacerdoti che lavorano per il Regno di Dio, cercando di conoscermi e di capirmi, osservandomi attentamente per capire cosa sta evolvendo in me, cosa è cambiato, cosa è maturato, cosa ho compreso, e cosa posso offrire alla mia gente in un cammino di crescita comune … Penso che ognuno dovrebbe ricercare delle esperienze che non siano solo rumori ma che siano fonte di un azione costante di crescita, e proporle agli altri. La festa di quest'anno chiude un anno pastorale impegnativo, ma insieme stiamo maturando altre iniziative, non solo a sfondo culturale e spirituale, ma anche caritativo, e che vedranno la parrocchia tesa in un processo di confronto e di crescita.