Territorio
Foggia Trivelle: Vigilante: “visione distorta delle ragioni del ‘SI’"
L’Attacco ai promotori del ‘No’ e dell’astensionismo
Foggia - martedì 22 marzo 2016
6.57 Comunicato Stampa
Pubblichiamo un comunicato stampa del Coordinamento provinciale NO-TRIV di Foggia:
"Ci sono molte argomentazioni che i fronti del 'no' e dell'astensione stanno usando nella loro, legittima, campagna referendaria in vista della consultazione del prossimo 17 aprile. È il gioco della democrazia. Alcuni temi, tuttavia, offrono all'opinione pubblica una visione distorta delle ragioni del 'sì'". Così Raffaele Vigilante, membro del Coordinamento regionale No-Triv e Presidente del Comitato referendario per la Provincia di Foggia, commenta le polemiche divampate in questi giorni dopo il botta e risposta al vetriolo tra il Premier Matteo Renzi e il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Interpretazioni delle ragioni espresse dal Comitato, secondo Vigilante, che fanno come "una sorta di caricatura, etichettandole come mistificazioni sollevate con il prevalente obiettivo di smuovere le acque all'interno di un partito politico, il Pd, e tentarne la scalata, indebolendone il leader". "Una tesi – prosegue Vigilante - che però non trova riscontro nelle migliaia di donne e uomini che sostengono convintamente la campagna referendaria del 'sì', che si stanno muovendo con una straordinaria passione e con una meravigliosa generosità solo ed esclusivamente per tutelare e difendere il patrimonio rappresentato dal nostro ambiente. D'altro canto per smentire la tesi del 'complotto partitico' – sottolinea il coordinatore - basterebbe osservare la trasversalità di aderenti, amministratori e partiti politici che animano il comitato 'No Triv'".
"Certo, le questioni poste attraverso la campagna referendaria – continua il referente del Movimento - hanno senza dubbio una valenza ed un profilo di carattere politico. Ma semplicemente perché materie come quelle di cui si discute sono per loro stessa natura politiche e non per ragioni di partito, come strumentalmente si prova a far credere. Se la politica non si occupa di come, quando e con quale durata regolamentare la ricerca e l'estrazione degli idrocarburi in mare, anche se con esclusivo riferimento alla durata delle concessioni già rilasciate, perché è questo il quesito referendario – precisa Vigilante - di cosa dovrebbe occuparsi?" "E allora si rimanga sul punto, invece di divagare.
Quale obiettivo si vorrebbe raggiungere votando 'sì' al quesito referendario? Attraverso il 'sì' si punta ad 'aggredire' un pezzo della legge cosiddetta 'Sblocca Italia', in particolare nella parte che permette ai concessionari di sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento". "La vittoria del 'sì' – evidenzia - determinerebbe il ritorno in vigore della norma che impone al permesso di estrazione degli idrocarburi una durata di 30 anni, prorogabili per 10 anni e di 5 anni in 5 anni, sottoponendo però ogni proroga ad uno scrupoloso processo di controllo e verifica. Banalmente, si tratta di evitare di concedere "carta bianca" ai concessionari. Non c'è dunque alcun "radicalismo" né alcuna tendenza demagogica nelle motivazioni che hanno portato al referendum e che sorreggono la campagna a favore del 'sì'". "Si è detto che quello del 17 aprile è un referendum 'farlocco', non promosso attraverso una raccolta di firme ma lungo una direttrice di scontro istituzionale tra Regioni e Governo. È una considerazione in parte vera, che tuttavia non indebolisce affatto la via referendaria né i suoi motivi. La questione posta dalle Regioni – prime tra tutte la Puglia e la Basilicata – è quella afferente il diritto delle comunità ad avere un ruolo nella definizione delle politiche energetiche. Una rivendicazione che – precisa il referente No-Triv - il Governo avrebbe potuto affrontare seguendo la via del dialogo, mentre invece ha ignorato le sollecitazioni al confronto che venivano avanzate dai presidenti di Regione.
Ovviamente questa impostazione rischia di far apparire la consultazione referendaria come uno strumento pensato e usato contro il Governo. Una rappresentazione evidentemente di comodo, perché quello del 17 aprile è un referendum a favore della difesa dell'ambiente delle comunità, non contro il presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi". "Uno degli argomenti utilizzati con maggiore frequenza dai fronti del 'no' e dell'astensione – lamenta Vigilante - è quello che riguarda i posti di lavoro del cosiddetto "indotto" della ricerca e dell'estrazione di idrocarburi – circa 6000 unità – che una vittoria del 'sì' cancellerebbe. Ebbene, seguendo questo ragionamento vale la pena ricordare che solo sul Gargano l'industria turistica vede impiegati 127000 lavoratori, senza considerare che con un successo referendario sarebbero soltanto 3 le piattaforme che si avvierebbero alla chiusura. Lo stesso 'giro d'affari' connesso all'indotto estrattivo ammonterebbe a 325 milioni di euro, a fronte degli 8 miliardi di euro prodotti nella sola regione Puglia dall'industria turistica.
Si è sentito dire anche che i timori per i danni ambientali provocati dalla presenza della piattaforme sarebbe ingiustificati e strumentalmente allarmistici. Una convinzione suffragata dal fatto che proprio accanto alle piattaforme esisterebbe una fiorente coltivazione di mitili. Peccato i risultati delle indagini condotte dall'Ispra e resi noti da Greenpeace ci dicano che si tratta di mitili al benzene, non propriamente un toccasana per la salute pubblica". "Anche l'argomento relativo all'autonomia energetica – usato con grande enfasi – dai sostenitori del 'no' e dell'astensione mostra più di una debolezza. Lo scenario che il referendum punta a disegnare, infatti, non arrecherebbe alcun danno mortale al nostro approvvigionamento energetico.
Non soltanto per i numeri dell'incidenza che il referendum avrebbe sulle estrazioni di idrocarburi ma anche perché – vale la pena ribadirlo – i concessionari non regalano nulla al nostro Paese, essendo il frutto delle estrazioni venduto allo Stato, con royalties che si aggirano mediamente tra il 7% ed il 10%. Numeri decisamente modesti, che rendono spropositata ed infondata la preoccupazione del fronte del 'no' e dell'astensione". "Non ci sono dunque ragioni sufficientemente solide per boicottare il referendum o per votare 'no' al quesito che gli italiani troveranno sulla scheda. Non vi sono ragioni di ordine economico, energetico o politico per farlo. Non si può neppure agitare polemicamente l'arma dello 'spreco di denaro pubblico' destinato alla consultazione referendaria, perché sarebbe bastato prevedere il cosiddetto 'election day'– ipotesi di lavoro che il comitato referendario aveva più volte invitato il Governo a valutare – per risparmiare circa 360 milioni di euro.
Non si può predicare la razionalizzazione delle risorse in pubblico salvo poi seguire una strada del tutto diversa". "Votare 'sì' al referendum del prossimo 17 aprile – chiarisce Raffaele Vigilante -vuol dire sul piano immediato ed operativo ripristinare un sistema di regole più certo per le estrazioni di idrocarburi già autorizzate e sollevare, sul piano più politico, l'urgente necessità di una discussione ampia e partecipata, che coinvolga e non tagli fuori le autonomie locali e le comunità, intorno alla grande questione della politica energetica del Paese, così da renderla compatibile – conclude - con l'immensa ricchezza ambientale e con la vocazione turistica della nostra Italia".
Foggia, 21 marzo 2016
"Ci sono molte argomentazioni che i fronti del 'no' e dell'astensione stanno usando nella loro, legittima, campagna referendaria in vista della consultazione del prossimo 17 aprile. È il gioco della democrazia. Alcuni temi, tuttavia, offrono all'opinione pubblica una visione distorta delle ragioni del 'sì'". Così Raffaele Vigilante, membro del Coordinamento regionale No-Triv e Presidente del Comitato referendario per la Provincia di Foggia, commenta le polemiche divampate in questi giorni dopo il botta e risposta al vetriolo tra il Premier Matteo Renzi e il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Interpretazioni delle ragioni espresse dal Comitato, secondo Vigilante, che fanno come "una sorta di caricatura, etichettandole come mistificazioni sollevate con il prevalente obiettivo di smuovere le acque all'interno di un partito politico, il Pd, e tentarne la scalata, indebolendone il leader". "Una tesi – prosegue Vigilante - che però non trova riscontro nelle migliaia di donne e uomini che sostengono convintamente la campagna referendaria del 'sì', che si stanno muovendo con una straordinaria passione e con una meravigliosa generosità solo ed esclusivamente per tutelare e difendere il patrimonio rappresentato dal nostro ambiente. D'altro canto per smentire la tesi del 'complotto partitico' – sottolinea il coordinatore - basterebbe osservare la trasversalità di aderenti, amministratori e partiti politici che animano il comitato 'No Triv'".
"Certo, le questioni poste attraverso la campagna referendaria – continua il referente del Movimento - hanno senza dubbio una valenza ed un profilo di carattere politico. Ma semplicemente perché materie come quelle di cui si discute sono per loro stessa natura politiche e non per ragioni di partito, come strumentalmente si prova a far credere. Se la politica non si occupa di come, quando e con quale durata regolamentare la ricerca e l'estrazione degli idrocarburi in mare, anche se con esclusivo riferimento alla durata delle concessioni già rilasciate, perché è questo il quesito referendario – precisa Vigilante - di cosa dovrebbe occuparsi?" "E allora si rimanga sul punto, invece di divagare.
Quale obiettivo si vorrebbe raggiungere votando 'sì' al quesito referendario? Attraverso il 'sì' si punta ad 'aggredire' un pezzo della legge cosiddetta 'Sblocca Italia', in particolare nella parte che permette ai concessionari di sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento". "La vittoria del 'sì' – evidenzia - determinerebbe il ritorno in vigore della norma che impone al permesso di estrazione degli idrocarburi una durata di 30 anni, prorogabili per 10 anni e di 5 anni in 5 anni, sottoponendo però ogni proroga ad uno scrupoloso processo di controllo e verifica. Banalmente, si tratta di evitare di concedere "carta bianca" ai concessionari. Non c'è dunque alcun "radicalismo" né alcuna tendenza demagogica nelle motivazioni che hanno portato al referendum e che sorreggono la campagna a favore del 'sì'". "Si è detto che quello del 17 aprile è un referendum 'farlocco', non promosso attraverso una raccolta di firme ma lungo una direttrice di scontro istituzionale tra Regioni e Governo. È una considerazione in parte vera, che tuttavia non indebolisce affatto la via referendaria né i suoi motivi. La questione posta dalle Regioni – prime tra tutte la Puglia e la Basilicata – è quella afferente il diritto delle comunità ad avere un ruolo nella definizione delle politiche energetiche. Una rivendicazione che – precisa il referente No-Triv - il Governo avrebbe potuto affrontare seguendo la via del dialogo, mentre invece ha ignorato le sollecitazioni al confronto che venivano avanzate dai presidenti di Regione.
Ovviamente questa impostazione rischia di far apparire la consultazione referendaria come uno strumento pensato e usato contro il Governo. Una rappresentazione evidentemente di comodo, perché quello del 17 aprile è un referendum a favore della difesa dell'ambiente delle comunità, non contro il presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi". "Uno degli argomenti utilizzati con maggiore frequenza dai fronti del 'no' e dell'astensione – lamenta Vigilante - è quello che riguarda i posti di lavoro del cosiddetto "indotto" della ricerca e dell'estrazione di idrocarburi – circa 6000 unità – che una vittoria del 'sì' cancellerebbe. Ebbene, seguendo questo ragionamento vale la pena ricordare che solo sul Gargano l'industria turistica vede impiegati 127000 lavoratori, senza considerare che con un successo referendario sarebbero soltanto 3 le piattaforme che si avvierebbero alla chiusura. Lo stesso 'giro d'affari' connesso all'indotto estrattivo ammonterebbe a 325 milioni di euro, a fronte degli 8 miliardi di euro prodotti nella sola regione Puglia dall'industria turistica.
Si è sentito dire anche che i timori per i danni ambientali provocati dalla presenza della piattaforme sarebbe ingiustificati e strumentalmente allarmistici. Una convinzione suffragata dal fatto che proprio accanto alle piattaforme esisterebbe una fiorente coltivazione di mitili. Peccato i risultati delle indagini condotte dall'Ispra e resi noti da Greenpeace ci dicano che si tratta di mitili al benzene, non propriamente un toccasana per la salute pubblica". "Anche l'argomento relativo all'autonomia energetica – usato con grande enfasi – dai sostenitori del 'no' e dell'astensione mostra più di una debolezza. Lo scenario che il referendum punta a disegnare, infatti, non arrecherebbe alcun danno mortale al nostro approvvigionamento energetico.
Non soltanto per i numeri dell'incidenza che il referendum avrebbe sulle estrazioni di idrocarburi ma anche perché – vale la pena ribadirlo – i concessionari non regalano nulla al nostro Paese, essendo il frutto delle estrazioni venduto allo Stato, con royalties che si aggirano mediamente tra il 7% ed il 10%. Numeri decisamente modesti, che rendono spropositata ed infondata la preoccupazione del fronte del 'no' e dell'astensione". "Non ci sono dunque ragioni sufficientemente solide per boicottare il referendum o per votare 'no' al quesito che gli italiani troveranno sulla scheda. Non vi sono ragioni di ordine economico, energetico o politico per farlo. Non si può neppure agitare polemicamente l'arma dello 'spreco di denaro pubblico' destinato alla consultazione referendaria, perché sarebbe bastato prevedere il cosiddetto 'election day'– ipotesi di lavoro che il comitato referendario aveva più volte invitato il Governo a valutare – per risparmiare circa 360 milioni di euro.
Non si può predicare la razionalizzazione delle risorse in pubblico salvo poi seguire una strada del tutto diversa". "Votare 'sì' al referendum del prossimo 17 aprile – chiarisce Raffaele Vigilante -vuol dire sul piano immediato ed operativo ripristinare un sistema di regole più certo per le estrazioni di idrocarburi già autorizzate e sollevare, sul piano più politico, l'urgente necessità di una discussione ampia e partecipata, che coinvolga e non tagli fuori le autonomie locali e le comunità, intorno alla grande questione della politica energetica del Paese, così da renderla compatibile – conclude - con l'immensa ricchezza ambientale e con la vocazione turistica della nostra Italia".
Foggia, 21 marzo 2016