Attualità
Fiducia nell’Arma, rassegnazione e negazione tra le reazioni social alla trasmissione Avamposti
Dopo l’inchiesta sulla criminalità cerignolana andata in onda sul Nove, fioccano i commenti e le riflessioni del popolo social
Cerignola - giovedì 10 settembre 2020
16.43
Era attesa come la finale dei mondiali e non ha tradito le aspettative. La trasmissione Avamposti in onda ieri sera sul Nove dedicata alla criminalità organizzata cerignolana ha fornito alcune interessanti riflessioni. Stando alle esternazioni social apparse su Facebook, le reazioni più gettonate sono state: una grande fiducia e sostegno ai Carabinieri che operano nella nostra città, sconforto per la situazione attuale in cui è precipitata Cerignola e una sorta di processo autoassolutorio della città perché tanto «sono cose che succedono dappertutto». A queste si può aggiungere un'ulteriore chiave di lettura, per fortuna minoritaria, di chi nega o comunque minimizza l'attuale problema criminale e non avrebbe voluto che di questo si parlasse in prima serata su un canale nazionale.
Lodevole l'appoggio (e anche le preghiere) dedicate al lavoro dei carabinieri. A loro e a tutte le forze dell'ordine che operano nella nostra, come in altre città dal contesto sociale a dir poco difficile, dovremmo la nostra stima e vicinanza sempre, non solo quando la TV, o stragi come quella di Nassiria, ci fanno toccare con mano la realtà, i rischi e le lacrime trattenute di chi, ogni giorno come noi si mette in fila alla posta o al supermercato e poi, ogni giorno, indossa una divisa per proteggerci e consentirci di vivere una vita più tranquilla di quella che sarebbe altrimenti.
Comprensibile lo sconforto e l'amarezza nel vedere la propria città sbattuta in prima pagina e affiancata a realtà criminali che si conoscevano solo dalla fiction. Ma non bisogna cadere nella trappola della rassegnazione. Cerignola non è solo crimine organizzato, nessuna città al mondo lo è, e se pensiamo al nostro passato ci vengono in mente nomi che hanno segnato rivoluzioni positive nei campi in cui hanno operato. Su tutti Nicola Zingarelli e Giuseppe Di Vittorio. Ma anche i numerosi e meno conosciuti concittadini che danno il nome a tante vie e piazze e che non sono certamente meno degni di nota. Tutto questo fa parte però di un glorioso passato e il nostro impegno dovrebbe essere, non solo quello di far rivivere la loro memoria, ma di costruire un tessuto sociale che consenta la nascita di nuovi cittadini che ne ricalchino le orme, come molte associazioni e istituzioni fanno, seppur tra mille difficoltà.
A chi contesta, più o meno apertamente l'inchiesta, facendo trapelare l'ipotesi del solito complotto, ordito non si sa da chi e non si sa perché, bisognerebbe ricordare che la stampa deve fare il suo mestiere, anche calcando la mano, fermo restando che Cerignola «non è un territorio in mano alla criminalità o dove altri non vogliono mettere piede», e non può essere derubricata a quartiere come quelli protagonisti delle altre puntate: Rogoredo (Milano), San Basilio (Roma), Zen (Palermo), Rione Sanità (Napoli). Allora bisogna chiedersi: quello che viene raccontato è vero o è falso? A Cerignola esiste una criminalità organizzata di tipo mafioso? È vero che è il maggior punto di riciclaggio di auto rubate del mediterraneo? È vero che ci sono immigrati sfruttati per il lavoro nelle campagne? Queste sono le domande a cui non dovremmo avere paura di rispondere e che non dovremmo strumentalizzare per nessun fine.
Quello che invece sembra aver maggiormente sconvolto l'opinione social-pubblica è che la criminalità organizzata cerignolana sia stata definita la quarta Mafia e che, stando ai dati, un cerignolano su due è un pregiudicato. Al di là dei numeri e dell'indignazione che ne è conseguita, anche in questo caso bisognerebbe aprire una riflessione. Dà fastidio che Cerignola sia definita la quarta mafia o che a Cerignola ci sia la mafia? Se anziché di un cerignolano su due la percentuale di pregiudicati fosse di uno su cento dormiremmo più tranquilli? Umberto Eco diceva che i pochi insegnanti universitari che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo salvarono l'onore di tutta l'università italiana. Forse è su questo che dovremmo lavorare, sui piccoli gesti, quelli che misurano il rispetto per gli altri: allacciarsi la cintura, indossare la mascherina, non voltarsi dall'altra parte di fronte a un senzatetto disteso a terra. Così, anche se in pochi, avremo salvato l'onore di questa città.
Lodevole l'appoggio (e anche le preghiere) dedicate al lavoro dei carabinieri. A loro e a tutte le forze dell'ordine che operano nella nostra, come in altre città dal contesto sociale a dir poco difficile, dovremmo la nostra stima e vicinanza sempre, non solo quando la TV, o stragi come quella di Nassiria, ci fanno toccare con mano la realtà, i rischi e le lacrime trattenute di chi, ogni giorno come noi si mette in fila alla posta o al supermercato e poi, ogni giorno, indossa una divisa per proteggerci e consentirci di vivere una vita più tranquilla di quella che sarebbe altrimenti.
Comprensibile lo sconforto e l'amarezza nel vedere la propria città sbattuta in prima pagina e affiancata a realtà criminali che si conoscevano solo dalla fiction. Ma non bisogna cadere nella trappola della rassegnazione. Cerignola non è solo crimine organizzato, nessuna città al mondo lo è, e se pensiamo al nostro passato ci vengono in mente nomi che hanno segnato rivoluzioni positive nei campi in cui hanno operato. Su tutti Nicola Zingarelli e Giuseppe Di Vittorio. Ma anche i numerosi e meno conosciuti concittadini che danno il nome a tante vie e piazze e che non sono certamente meno degni di nota. Tutto questo fa parte però di un glorioso passato e il nostro impegno dovrebbe essere, non solo quello di far rivivere la loro memoria, ma di costruire un tessuto sociale che consenta la nascita di nuovi cittadini che ne ricalchino le orme, come molte associazioni e istituzioni fanno, seppur tra mille difficoltà.
A chi contesta, più o meno apertamente l'inchiesta, facendo trapelare l'ipotesi del solito complotto, ordito non si sa da chi e non si sa perché, bisognerebbe ricordare che la stampa deve fare il suo mestiere, anche calcando la mano, fermo restando che Cerignola «non è un territorio in mano alla criminalità o dove altri non vogliono mettere piede», e non può essere derubricata a quartiere come quelli protagonisti delle altre puntate: Rogoredo (Milano), San Basilio (Roma), Zen (Palermo), Rione Sanità (Napoli). Allora bisogna chiedersi: quello che viene raccontato è vero o è falso? A Cerignola esiste una criminalità organizzata di tipo mafioso? È vero che è il maggior punto di riciclaggio di auto rubate del mediterraneo? È vero che ci sono immigrati sfruttati per il lavoro nelle campagne? Queste sono le domande a cui non dovremmo avere paura di rispondere e che non dovremmo strumentalizzare per nessun fine.
Quello che invece sembra aver maggiormente sconvolto l'opinione social-pubblica è che la criminalità organizzata cerignolana sia stata definita la quarta Mafia e che, stando ai dati, un cerignolano su due è un pregiudicato. Al di là dei numeri e dell'indignazione che ne è conseguita, anche in questo caso bisognerebbe aprire una riflessione. Dà fastidio che Cerignola sia definita la quarta mafia o che a Cerignola ci sia la mafia? Se anziché di un cerignolano su due la percentuale di pregiudicati fosse di uno su cento dormiremmo più tranquilli? Umberto Eco diceva che i pochi insegnanti universitari che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo salvarono l'onore di tutta l'università italiana. Forse è su questo che dovremmo lavorare, sui piccoli gesti, quelli che misurano il rispetto per gli altri: allacciarsi la cintura, indossare la mascherina, non voltarsi dall'altra parte di fronte a un senzatetto disteso a terra. Così, anche se in pochi, avremo salvato l'onore di questa città.