Attualità
37^ Assemblea Anci, Antonio Decaro: «Per battere il virus le istituzioni siano unite»
«Ripartiamo chiedendo scusa per le nostre mancanze. La nostra non è una sconfitta. L'Italia non si arrenderà. Tornerà l'Italia»
Puglia - mercoledì 18 novembre 2020
9.13
Il presidente dell'Anci, Antonio Decaro, Sindaco di Bari, aprendo la 37esima assemblea nazionale dei sindaci, ha esordito con queste parole:
«I cittadini possono sconfiggere il virus stando distanti, ma per noi istituzioni l'unica possibilità di sconfiggerlo è stare uniti. Senza distinzioni politiche, ideologiche, territoriali. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli, al nostro Paese. Ma lo dobbiamo ancora di più a medici, infermieri, operatori sanitari e volontari che in questi mesi stanno dando al nostro Paese la loro vita, mostrandoci ogni giorno, dietro tute ingombranti e mascherine asfissianti, il significato delle parole: sacrificio, dedizione, professionalità e responsabilità».
Parole apprezzate e condivise dai partecipanti all'assemblea, parole che richiamano alla responsabilità e all'unità in un discorso in cui, nell'invito alla forza e al coraggio, viene citato Antonio Gramsci:
«Spesso sembriamo tutti come Penelope, perché nel continuo gioco di rimpalli e scarica barile, ciò che di giorno a fatica riusciamo a costruire, di notte ci affrettiamo a demolire. Così la nostra irresponsabilità e i nostri egoismi, i nostri tatticismi, le nostre polemiche, la nostra ossessiva ricerca di un effimero consenso, demoliscono gli sforzi e il lavoro che si compiono negli ospedali, nei laboratori di ricerca, nelle case e nelle vite di quelle persone che da febbraio scorso sono chiamate a rinunce e sacrifici.
Avere la forza e il coraggio di essere protagonisti della ripartenza dell'Italia».
Nella fase finale dell'intervento il Presidente Decaro si scusa con i cittadini, con i medici e il comparto sanitario, per le volte in cui i sindaci non sono stati esempio di unità, di comunità:
«Chiedendo scusa, umilmente, per le nostre mancanze, diventando, noi per primi nella nostra azione quotidiana, esempio per tutti quei cittadini che oggi hanno paura e non hanno fiducia nel futuro di questo Paese. Scusa a tutti i medici e al personale sanitario se non abbiamo una risposta all'altezza dei loro turni massacranti e della loro stanchezza, a tutti ai bambini e alle bambine delle scuole italiane, e alle loro famiglie, se li abbiamo costretti a scegliere tra due diritti fondamentali e inalienabili, come quello all'istruzione e quello alla salute, ai malati, costretti a vivere un doppio dolore, quello della malattia e quello, a volte peggiore, della separazione dai propri affetti, agli imprenditori. Chiediamo scusa noi sindaci, a nome di tutta la classe dirigente italiana. Perché siamo abituati a prenderci anche le responsabilità di altri. Chiediamo scusa perché non ci siamo mostrati adeguati a fronteggiare questa maledetta pandemia. Non è una resa. La nostra non è una sconfitta. L'Italia non si arrenderà. Tornerà l'Italia. E sarà più bella e più forte di prima. Noi ce la stiamo mettendo tutta».
«I cittadini possono sconfiggere il virus stando distanti, ma per noi istituzioni l'unica possibilità di sconfiggerlo è stare uniti. Senza distinzioni politiche, ideologiche, territoriali. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli, al nostro Paese. Ma lo dobbiamo ancora di più a medici, infermieri, operatori sanitari e volontari che in questi mesi stanno dando al nostro Paese la loro vita, mostrandoci ogni giorno, dietro tute ingombranti e mascherine asfissianti, il significato delle parole: sacrificio, dedizione, professionalità e responsabilità».
Parole apprezzate e condivise dai partecipanti all'assemblea, parole che richiamano alla responsabilità e all'unità in un discorso in cui, nell'invito alla forza e al coraggio, viene citato Antonio Gramsci:
«Spesso sembriamo tutti come Penelope, perché nel continuo gioco di rimpalli e scarica barile, ciò che di giorno a fatica riusciamo a costruire, di notte ci affrettiamo a demolire. Così la nostra irresponsabilità e i nostri egoismi, i nostri tatticismi, le nostre polemiche, la nostra ossessiva ricerca di un effimero consenso, demoliscono gli sforzi e il lavoro che si compiono negli ospedali, nei laboratori di ricerca, nelle case e nelle vite di quelle persone che da febbraio scorso sono chiamate a rinunce e sacrifici.
Avere la forza e il coraggio di essere protagonisti della ripartenza dell'Italia».
Nella fase finale dell'intervento il Presidente Decaro si scusa con i cittadini, con i medici e il comparto sanitario, per le volte in cui i sindaci non sono stati esempio di unità, di comunità:
«Chiedendo scusa, umilmente, per le nostre mancanze, diventando, noi per primi nella nostra azione quotidiana, esempio per tutti quei cittadini che oggi hanno paura e non hanno fiducia nel futuro di questo Paese. Scusa a tutti i medici e al personale sanitario se non abbiamo una risposta all'altezza dei loro turni massacranti e della loro stanchezza, a tutti ai bambini e alle bambine delle scuole italiane, e alle loro famiglie, se li abbiamo costretti a scegliere tra due diritti fondamentali e inalienabili, come quello all'istruzione e quello alla salute, ai malati, costretti a vivere un doppio dolore, quello della malattia e quello, a volte peggiore, della separazione dai propri affetti, agli imprenditori. Chiediamo scusa noi sindaci, a nome di tutta la classe dirigente italiana. Perché siamo abituati a prenderci anche le responsabilità di altri. Chiediamo scusa perché non ci siamo mostrati adeguati a fronteggiare questa maledetta pandemia. Non è una resa. La nostra non è una sconfitta. L'Italia non si arrenderà. Tornerà l'Italia. E sarà più bella e più forte di prima. Noi ce la stiamo mettendo tutta».